I pionieri dell'ARTchitettura
E comincia scolpire la luce
Smette di essere solo un artista e diventa un Artchitetto.
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La luce è per l’Architettura
Come il silenzio è per la Poesia.
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Gaudì parlava con Dio
Wright dialogava con la natura
Gehry fa l’amore con l’Arte
Gaudì, Wright, Le Corbusier.
Per ragioni diverse ma importanti e complementari al nostro concetto di ARTCHITETTURA, almeno
per gli aspetti di contaminazione in Architettura tra Razionalismo, Design, Arte, Natura, Umanesimo,
Creatività, ma anche per il loro senso Rinascimentale di mettere l’UOMO e la socialità al centro, di
progettazione olistica e l’“eclettismo combinatorio” di Gaudì, la visione organica, (cioè dell’Architettura integrata
nella natura) in Wright e la creatività anche teorica di Le Corbusier.
Per questi motivi storici e qualitativi, questi tre maestri, possono esserne considerati seppur con
motivazioni e caratteri diversi, i Pionieri che hanno iniziato a considerare e trasformare l’Architettura
in Arte Totale. Taciturno e isolato Gaudì, superuomo iconoclasta in grado di farsi da sé, ingegno
architettonico egoista e arrogante Wright, figura eclettica e creativa, (pittore, designer, architetto,
teorico) Le Corbusier. Ma vediamo un po’ più da vicino le poetiche e alcuni capolavori di questi
immensi Artisti.
Antoni Gaudí
Antoni Gaudí (Reus, Catalogna 1852 - Barcellona 1926)
Gaudì è stato il maestro che ha reso l’architettura catalana celebre in tutto il mondo grazie alle
magnifiche facciate, al design organico fantasioso, colorato e creativo, e alla grande attenzione per i
dettagli, come nelle case Batlló, La Pedrera di Barcellona, al Parco Guell e la Sagrada Familia. Difficile
immaginare Barcellona senza Gaudì. Luca Quattrocchi, lo ha giustamente definito: “Ultimo degli antichi e
il primo dei moderni”, questa definizione calza perfettamente al genio e all’opera di Gaudì. Il suo stile, una
combinazione di influenze orientali e artigianali e un linguaggio naturale e organico delle forme, è
davvero unico.
Ed è per questo che Gaudí è tuttora considerato l’architetto spagnolo di maggior successo, uno dei
rappresentanti più importanti del modernismo e Art Nouveau. L’opera di Antoni Gaudì, nonostante sia
anticipatrice rispetto al vitale spirito innovatore del Liberty, (meravigliosi sui balconi finestrati e ovali),
ne offre un’interpretazione personale e originalissima che occupa una posizione eccentrica anche
all’interno dello Stile Moderno Internazionale.
Gaudí affermava che: “L’originalità consiste nel ritorno alle origini.” La svolta per la sua carriera avvenne nel
1878, quando il caso volle che la strada dell’artista e quella dell’importante industriale su scala nazionale
dalla spiccata propensione per le arti Eusebi Güell, si incrociassero. Il rapporto cliente-architetto, fu
piuttosto un vincolo di mutua ammirazione e passioni condivise su cui si basò un’amicizia che diede
all’artista l’opportunità di cominciare una traiettoria professionale piena, in cui poter sviluppare tutte le
sue qualità artistiche.
L’opera di Gaudì è stata sempre apprezzata, ma rivalutata in tempi relativamente recenti e soprattutto
nell’ambito dell'Architettura organica e da Le Corbusier. Lo stile di Gaudì rivela una contaminazione dei
principali stili che hanno caratterizzato l'architettura spagnola nei secoli passati, come il gotico, il
barocco, lo stile moresco e l’architettura marocchina. Eppure questi influssi sono fusi con una fantasia
personalissima e originale.
Gaudì fu tra i primi Architetti a considerare la natura come fonte di ispirazione degli elementi strutturali
oltre che decorativi, e fu particolarmente sensibile al valore dell'artigianato e ai temi di carattere
spirituale, consentendogli di realizzare opere con uno spazio organico, una texture materica, una visione
divina.
Durante la fase della maturità, i capolavori si succedettero uno dopo l’altro: la Torre Bellesguard, il Park
Güell, il restauro della cattedrale di Maiorca, la chiesa di Colonia Güell, la Casa Batlló, La Pedrera e, infine, la
Sagrada Familia.
Curiosamente, lo splendore dell’Architettura Gaudiana coincise con una decisione personale
dell’Architetto: il progressivo ritiro dalla mondanità e dalle apparizioni pubbliche.
Vediamo più in dettaglio alcune dei suoi capolavori:
Casa Battlò: Concepita come un enorme organismo vegetale, dalla superficie scabra e vitale.
Realizzata a Barcellona, tra il 1904 e il 1905. Si trattava di un edificio libero, ma di un palazzo ad
appartamenti di cinque piani unito con altre grandi costruzioni formanti un unico blocco compatto
comprendente un intero isolato, posto ad angolo su due vie di intenso traffico. Gaudì si è adoperato per
ottenere sia una perfetta integrazione nel tessuto urbanistico, sia la funzionalità abitativa del palazzo. Il
criterio di dinamismo e forme ondulate e curve è stato utilizzato anche negli interni, le scale, le pareti, i
soffitti, ogni parte dell'edificio è perfettamente coerente con la concezione di costruzione intesa come
forma vivente, dando allo stile Liberty un’interpretazione personalissima e originale.
Con questo lavoro, ha dato vita a una delle sue opere più fantasiose ed innovative: malgrado alcune
problematiche legali, dovute all'aggetto ritenuto eccessivo delle colonne alla base, la casa Batlló fu
subito accolta con molto entusiasmo e, nell'anno della sua inaugurazione, concorse persino per il
prestigioso titolo di «migliore architettura dell'anno». Dopo un articolato percorso proprietaristico la
casa Batlló alla fine del XX secolo è stata aperta al pubblico ed è ormai diventata una tappa
irrinunciabile per ciascun turista in visita a Barcellona: dichiarata monumento storico-artistico nazionale
nel 1969, dal 2005 la Casa è entrata a far parte del patrimonio mondiale dell'UNESCO.
Ma la cosa che sbalordisce è che la creativa esuberanza dell'insieme è concepita sotto il prisma della
funzionalità, criterio al quale l'architetto subordina tutti gli altri elementi. Gaudí, in effetti, nella Casa
Batlló ponderò molto per provvedere a una buona aerazione e ventilazione, due criteri fondamentali per
una fruizione sana e confortevole del sistema edilizio.
La prima cosa che attira l'attenzione del fruitore della casa Batlló è certamente la sua facciata anteriore,
scolpita in pietra arenaria di Montjuïc, e impreziosita dai frammenti policromi “trencadi”, che
soprattutto di notte esaltano rifrazioni galattiche e vortici stellari, ma poi si rimane estasiati e sorpresi
dalla creatività sinuosa e organica degli interni e dalla plasticità scultorea del tetto.
La poetica Gaudiana è caratterizzata dal ritmo ondulato e vibrante, nel segno di una vigorosa quanto completa
negazione della linea retta, incompatibile con la natura curvilinea delle forme naturali evocando un mondo
onirico e fiabesco pieno di luce e di colore. Una sua citazione è emblematica in tal senso:
“La retta è la linea degli uomini e la curva è la linea di Dio”.
Guardando con attenzione i particolari del soppalco, si potrà notare come ricordi il corpo interno di
una Balena. Una ingegnosa soluzione architettonica basata sull'utilizzo del cosiddetto arco catenario o
arco equilibrato, che consente una omogenea distribuzione dei carichi eliminando la necessità di
colonne, muri e contrafforti. Oltre all’aspetto estetico e decorativo, l’artista si concentrò anche
sulle tecniche razionali, per rendere ogni ambiente estremamente funzionale e dotato di luce e aria.
Parco Gùell:
Nel 1900 iniziò la costruzione di Parc Güell, uno dei progetti più famosi di Gaudí e anche uno dei suoi
più estesi. Commissionato dal suo amico e mecenate Eusebi Güell. Il primo progetto di Eusebi Güell
era una città-giardino basata sul modello britannico, che avrebbe dovuto ospitare circa 60 ville. Fu
Ebenezer Howard a colpire Güell, che ammirò molto la sua idea di (garden city). Desideroso di
riproporre l'esperienza di Howard nella terra catalana Güell commissionò a Gaudí la realizzazione di un
sobborgo-giardino di modeste dimensioni in prossimità di un nudo pendio dietro Barcellona, la
Muntanya Pelada, dove egli possedeva un antico casale.
Purtroppo, l'urbanizzazione caldeggiata da Gaudí e Güell non ebbe luogo, cosicché venne venduto un
solo lotto. Delle sessanta case inizialmente previste dall'azzonamento di Gaudí ne furono costruite solo
tre: in una di queste, indicativamente, abitava l'architetto stesso insieme all'anziano padre e alla figlia
della sorella, prima del trasloco definitivo nel cantiere della Sagrada Família.
Gaudí ha scelto di collocare l'ingresso principale del parco nella parte più bassa della montagna e,
pertanto, più vicina al centro urbano di Barcellona. Qui si ergono due originali padiglioni di ingresso
(Zerbst ne parla nei termini di «casette di fiaba»), il primo concepito come luogo di attesa per i visitatori e
il secondo contenente l'alloggio per il guardiano.
Nella loro combinazione polimaterica di pietra rustica e maioliche colorate, sono comunque movimentati da un
ritmo architettonico plastico e ondulato che poi culmina nelle coperture in ceramica irregolarmente
arcuate nel segno di un'euritmica sintesi tra funzionalità ed estetica.
Di particolare pregio il parapetto collocato lungo i margini della piazza, il quale - oltre a proteggere i
fruitori del parco da eventuali cadute nel vuoto - è anche una panchina, strutturata non secondo una
logica rettilinea, bensì in un continuo e ondoso succedersi di sporgenze e rientranze che consentono
all'utenza di riunirsi in piccole «unità di socializzazione» e interagire tra di loro.
Fa parte del parco anche il famoso drago di pietra, simbolo della città di Barcellona, visibile appena si
entra nell’ampio parco. La fontana d’acqua a forma di drago è ricoperta da piccole pietre colorate. La
tecnica di applicazione di frammenti di ceramica, chiamata trencadís, tipica di Gaudí, ha trasformato i
suoi progetti in opere d’arte uniche.
Tra i materiali edili da lui preferiti e utilizzati spiccano soprattutto il cemento, modellato e plasmato
con fantasia e i metalli, anch'essi utilizzati con grande libertà. Grande attenzione ha sempre posto
ai particolari decorativi, con l'utilizzo di mosaici, maioliche, vetri colorati. Gaudì esalta i frammenti
policromi “trencadis” per le sue decorazioni neobizantine e liberty.
Sagrada Familia (Il capolavoro di Gaudì)
La Sagrada Familia è un esempio emblematico dello stile inconfondibile di Antoni Gaudí, caratterizzato
da elementi dell'art nouveau, del modernismo catalano e del tardo gotico spagnolo. Il nome completo di
questo edificio, in lingua catalana, è Temple Expiatori de la Sagrada Família (‘Tempio espiatorio della Sacra
Famiglia’). La Cattedrale presenta infatti un’originalissima commistione di influenze neogotiche,
barocche e art nouveau, unito ad uno spiccato senso Gaudiano del grandioso e del sacro, e colmo di
rimandi simbolici e mistici. Lo stesso impatto materico delle guglie rimanda oltre che a enormi termitai
o ai tipici castelli di sabbia gocciolanti dei bambini, a una simbolica colatura divina di fango creatore e
rigeneratore che fanno assurgere la cattedrale a nido mistico e simbolo terreno di una preghiera divina.
Nel 1883, l’ancora sconosciuto Gaudí fu incaricato di realizzare il suo edificio più famoso: la
progettazione e la costruzione della Sagrada Família. La costruzione della cattedrale nel quartiere
barcellonese dell’Eixample, il cui nome completo è Basílica y Templo Expiatorio de la Sagrada Família,
era stata precedentemente diretta da Francisco de Paula del Villar y Lozano. Quando si era ritirato, solo
sei anni dopo l’inizio della progettazione, era stata completata solo la cripta sotterranea.
Fin dall’inizio, Antoni Gaudí perseguì l’ambizioso obiettivo di far entrare la Sagrada Família nella storia
dell’architettura come una chiesa per i poveri. Per perseguire questo obiettivo investì gli ultimi dieci anni
della sua vita esclusivamente al suo progetto, vivendo in alcuni dei suoi spazi. Tuttavia, poiché i costi
sostenuti per la costruzione vennero coperti in gran parte da donazioni, Gaudí non fu mai in grado di
completare la chiesa. Alla sua morte era stato costruito solo uno dei campanili, oltre alla cripta,
all’abside e alla facciata della Natività. Oggi, otto delle 18 torri previste adornano la Sagrada Família. La
costruzione resta incompiuta, e il progetto iniziale di completare la chiesa nel 2026, in occasione del
centenario della morte di Gaudì, ha dovuto essere rimandato a causa della pandemia e del conseguente
lockdown, oltre che per la mancanza delle entrate dai biglietti d’ingresso. Nonostante ciò, o forse
proprio per questo, l’imponente edificio attira milioni di visitatori ogni anno da tutto il mondo.
Come rivelano i nomi scelti dall’architetto, tutte le facciate sono dedicate ai momenti fondamentali della
missione terrena di Gesù (nascita, crocifissione e resurrezione). Gaudí si occupò del progetto della sua
chiesa per oltre 40 anni e dedicò alla sua costruzione gli ultimi 15 anni della propria vita.
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Frank Lloyd Wright (1867-1959).
© Disegno Arch. Alfredo Vacca
Frank Lloyd Wright l’architetto che rivendicò la libera creatività e padre dell’Architettura
organica (forme in espansione, spazio come creazione umana, rapporto dialettico con la natura), concepì
anche la vera casa americana e il modello insediativo Broadacre City (1932) che viene
dall’Architetto inteso come “un concetto spaziale nuovo, a uso dell’edilizia individuale e comunitaria: un
uso sociale”. Le cosiddette case “usoniane”, case autosufficienti, perché proprio la dimensione del lotto
consente di ricavare orti che garantiscano l’indipendenza dei cittadini dalle distorsioni della moderna
economia. Ma ciò che lo rese ammirato e invidiato dagli architetti di tutto il mondo furono: la
celeberrima Kaufmann House (altrimenti dette “Casa sulla Cascata”), realizzata a Bear Run in Pennsylvania,
nel 1936) e l’altrettanto noto Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1945-1959). Considerato “il più
grande architetto americano di tutti i tempi”, secondo un sondaggio del 1991 indetto dall’American Institute
of Architects, Frank Lloyd Wright è stato un vero visionario. Credeva nella potenza della relazione tra
l’edificio e i suoi abitanti, dicendo che l’architettura fosse la “Madre di tutte le arti”. “Senza architettura”,
diceva, “la nostra civiltà non ha anima”.
Wright, innamorato della cultura Nipponica, fece numerosi viaggi in Oriente, fino a divenire anche uno
dei massimi collezionisti ed esperti americani di opere grafiche giapponesi. Abiterà inoltre a Tokyo, tra il
1915 e il 1921, e scriverà un testo di riferimento per gli amanti dell’arte giapponese, intitolato “The
Japanese Print. An Interpretation” (1912).
L’architettura di Frank Lloyd Wright è caratterizzata dall’uso di materiali come legno e pietra nella loro
forma più pura e autentica, senza trasformarli in qualcosa di nuovo, ma valorizzando le loro naturali
specificità di ruvidezza, forma e colore.
Secondo la teoria “Organica” di Wright, qualsiasi opera architettonica deve essere pensata in relazione
all’ambiente che la circonda, e dunque realizzata assecondando quelle che sono le caratteristiche della
realtà in cui andrà a collocarsi.
Wright ricerca insistentemente il dialogo tra l’edificio e l’ambiente esterno, organizzando la costruzione in
piani prevalentemente paralleli al suolo in modo da sottolinearne l’orizzontalità ed eliminando il
concetto di abitazione come “scatola chiusa”.
In proposito scrisse “Le case dell’uomo non dovrebbero somigliare a scatole che splendono al sole… qualsiasi edificio
destinato ad essere usato dall’uomo dovrebbe essere un tratto del terreno primordiale, solidale, complementare al suo
ambiente naturale.”
Lo spazio e la natura in relazione con l’uomo diventarono la sua ossessione e la sua specificità che lo
hanno reso grande.
Nel suo lavoro, l’asimmetricità dei corpi e lo slittamento dei volumi non sono casuali, bensì riflettono
ed allo stesso tempo esaltano l’organico disordine della natura dei luoghi.
Anche i materiali utilizzati, ossia la pietra per le strutture verticali, il legno per i rivestimenti interni e il
calcestruzzo armato per gli elementi a sbalzo, ribadiscono l’integrazione tra architettura e natura,
fondendosi con i colori delle rocce e degli alberi del paesaggio circostante.
La letteratura e saggistica prodotta da Frank Lloyd Wright annovera una produzione di poche opere
ma che racchiudono tutta la sua poetica e pensiero architettonico. I più importanti sono:
The Japanese Print: An Interpretation.
Ausgeführte Bauten und Entwürfe von Frank Lloyd Wright
The Living City
Testament
Nel Testamento Wright avrebbe ricordato: «un grande rivoluzionario, ingegnere nell'esercito confederato, costruttore
e teorico, Dankmar Adler; e il suo giovane socio, un genio, reduce ribelle dell'Accademia parigina, Louis H. Sullivan,
praticavano architettura, verso il 1887, appunto là, nella città di Chicago; [erano] allora gli unici architetti moderni, con i
quali, per questo motivo, intendevo lavorare».
Dal punto di vista filosofico e letterario fu influenzato molto da, Emerson, Whitman e Fröbel, Lao Tsu.
Nei primi tre, è da vedersi le tracce del suo pensiero trascendentalista di superuomo nella tragica
esigenza di doversi proporre come un genio individuale, superuomo iconoclasta in grado di farsi da sé,
ingegno architettonico egoista e arrogante, unico e solo, e per questo irripetibile., e da Lao Tsu le prime
tracce del pensiero di “Architettura Organica”.
Sempre da Emerson, inoltre, Wright desunse un sincero amore per la Natura, la quale veniva concepita
come materia grezza, animata da profondi valori estetici e spirituali che riflettevano la grandiosità divina
e che l'architetto aveva il compito di esplorare e distillare nelle proprie creazioni.
L’architettura organica, rifiuta ogni classificazione e atteggiamento classico. L’architettura organica
appare più come una tendenza del gusto con le sue forme libere, gli angoli diversi da 90°, la varietà e
ricchezza dei materiali, il suo naturalismo talvolta mimetico, oltre che un vero e proprio codice-stile, era
anche un atteggiamento ideologico culturale.
Scrive Wright “Cominciai a studiare la natura dei materiali, imparando a vedere il mattone come mattone, il legno
come legno, il cemento, il vetro, la pietra, il metallo ciascuno per sé stesso. Ciascun materiale richiedeva un trattamento
diverso e aveva possibilità di impiego particolare alla propria natura. Un progetto adatto per un materiale non lo ero per
un altro”.
Voglio concludere queste riflessioni su Wright con le sue parole pronunciate nel 1939 alla fine della sua
4^conferenza Londinese: “…Ciò che noi chiamiamo architettura organica, non è un semplice concetto estetico, né
un culto, né una moda, ma l’idea profonda di una nuova integrità della vita umana in cui arte e religione e scienza siano
un tutt’uno. Forma e funzione viste come una cosa unica: questa è la democrazia.”
Le Corbusier
© Disegno Arch. Alfredo Vacca
Le Corbusier, figura eclettica e creativa, (pittore, designer, architetto, teorico e appassionato lettore di
Apollinaire e Valery) il cui vero nome era Charles-Edouard Jeanneret, ma scelse per la sua attività artistica
lo pseudonimo “Le Corbusier”. Artista mitologico Europeo, è certamente una delle figure di maggior
spicco nel complesso panorama dell’architettura del XX secolo: il suo mito si deve anche alla sua figura
di teorico e ai suoi scritti sull’architettura e all’opera di divulgazione messa in atto attraverso i CIAM
(Congressi Internazionali di Architettura Moderna), di cui era l’anima, oltre che ad alcuni capolavori
come Ronchamp, La Tourette, Villa Savoy, Firminy, il piano urbanistico di Chandigarth, la famosa poltrona
“chaise longue” e teorie come il modulor, e i 5 punti della nuova Architettura. Incessante la sua attività di
teorico, (Vers une Architecture (1922), raccolta ragionata di gran parte dei testi apparsi su “L’Esprit
Noveau”, poi ripresi anche in “L’Urbanisme” (1924), “Almanach d’architecture moderne” e “L’Art
décoratif d’aujourd’hui” (1925). Le Corbusier è tuttora un personaggio di fama internazionale, all’epoca
era invitato a conferenze ed esposizioni che ne consacrarono la figura, insieme al planetario successo di
critica ottenuto con la costruzione della Villa Savoy a Poissy (1929). Considerato il maestro
del Razionalismo e del Movimento Moderno, e l'architetto simbolo della rottura con il passato, ha
esercitato (e continua a esercitare) un’influenza straordinaria sulle generazioni che gli sono succedute.
L’ultimo capolavoro che ci ha lasciato è al Museo del Design di Zurigo e racconta lo stretto legame
del celebre architetto svizzero con il colore. Le Corbusier fù l’artefice del successo e dell’utilizzo del
cemento armato sino al Brutalisme, ma Il “Padiglione Le Corbusier”, è l'unico che progettò in acciaio e
vetro e ultimo lavoro della sua lunga carriera e testimonia l’amore per il colore dell’uomo che oltre che
Architetto era e si sentiva (ma non riconosciuto) “uomo di lettere” e pittore. Le Corbusier pone al
centro della propria attività architettonica l’uomo, definito da esigenze di natura fisica, psicosomatica e
culturale (in termini di benessere spaziale, termico, sonico), oltre che dal bisogno-diritto di essere felice.
Riprendendo la filosofia umanistica Rinascimentale, Le Corbusier, sosteneva che «si deve tentare di trovare
sempre la scala umana» e che “l'architettura è l'attività che produce popoli felici.” E alla fine teorizzò il
MODULOR.
Vediamo di seguito in sintesi alcune delle sue teorie e riflessioni:
I 5 PUNTI DELLA NUOVA ARCHITETTURA:
1. I pilotis
«Ricerche assidue e ostinate hanno condotto a risultati parziali che possono esser considerati come prove di
laboratorio. Questi risultati aprono nuove prospettive all'architettura, e queste si offrono all'urbanistica, che vi
può trovare i mezzi per risolvere la grande malattia delle città attuali. La casa su pilotis! La casa si
approfondiva nel terreno: locali oscuri e sovente umidi, Il cemento armato rende possibili i pilotis. La casa è
nell'aria, lontano dal terreno; il giardino passa sotto la casa, il giardino è anche sopra la casa, sul tetto».
2. I tetti-giardino
«Da secoli un tetto a spioventi tradizionale sopporta normalmente l'inverno col suo manto di neve, mentre la
casa è riscaldata con le stufe. Da quando è installato il riscaldamento centrale, il tetto tradizionale non
conviene più. ll tetto non dev'essere spiovente ma incavato. Deve raccogliere le acque all'interno, non più
all'esterno. Verità incontestabile: i climi freddi impongono la soppressione del tetto spiovente e esigono la
costruzione dei tetti-terrazze incavati, con raccolta delle acque all'interno della casa. Il cemento armato è il
nuovo mezzo che permette la realizzazione delle coperture omogenee. Il cemento armato si dilata fortemente.
La dilatazione fa spaccare la struttura nelle ore di improvviso ritiro. Invece di cercare di evacuare rapidamente
le acque piovane, bisogna cercare al contrario di mantenere un'umidità costante sul cemento della terrazza, e
quindi una temperatura regolata sul cemento armato. Misura particolare di protezione: sabbia ricoperta di
lastre spesse di cemento, a giunti sfalsati. Questi giunti sono seminati di erba. Sabbia e radici non lasciano
filtrare l'acqua che lentamente. l giardini-terrazze diventano opulenti: fiori, arbusti e alberi, prato»
3. La pianta libera
«Finora: muri portanti. Partendo dal sottosuolo, si sovrappongono formando il pianterreno e gli altri piani,
fino al tetto. La pianta è schiava dei muri portanti. Il cemento armato porta nella casa la pianta libera! I
piani non devono più esser ricalcati gli uni sugli altri. Sono liberi. Grande economia di volume costruito,
impiego rigoroso di ogni centimetro»
4. La finestra a nastro
«La finestra è uno degli elementi essenziali della casa. Il progresso porta una liberazione. Il cemento armato
rivoluziona la storia della finestra. Le finestre possono correre da un bordo all'altro della facciata. La finestra
è l'elemento meccanico-tipo della casa; per tutti i nostri alloggi unifamiliari, le nostre ville, le nostre case
operaie, i nostri edifici d'affitto ...»
5. La facciata libera
«I pilastri arretrati rispetto alle facciate, verso l'interno della casa. Il solaio prosegue in falso, verso l'esterno.
Le facciate sono solo membrane leggere, di muri isolati o di finestre. La facciata è libera; le finestre, senza
essere interrotte, possono correre da un bordo all'altro della facciata»
Il MODULOR:
Le Corbusier sviluppò il Modulor all'interno della lunga tradizione di Vitruvio, ripresa nell'uomo
vitruviano da Leonardo, e degli innumerevoli altri tentativi di trovare proporzioni geometriche e
matematiche relative al corpo umano e di usare queste conoscenze per migliorare sia l'estetica che la
funzionalità dell'architettura. Le Corbusier recuperò, la dimensione umana nell'architettura.
«Per formulare risposte da dare ai formidabili problemi posti dal nostro tempo e riguardanti l'attrezzatura della nostra
società, vi è un unico criterio accettabile, che ricondurrà ogni problema ai suoi veri fondamenti: questo criterio è l'uomo»
Sulla base di varie ricerche, Le Corbusier pubblicò Le Modulor nel 1948, seguito da Modulor 2 nel 1955.
L'architetto svizzero applicò la sottile trama matematica del Modulor nella progettazione di diversi
edifici.
Il Modulor, sottile calembour derivante dalla combinazione di module [modulo] e or (in riferimento
alla section d'or, ovvero la sezione aurea), è stato dunque ideato da Le Corbusier con lo scopo di fornire
«una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all'architettura e alle
cose meccaniche». Le Corbusier studiò questa scala dimensionale strutturandola su due scelte fondamentali,
la prima di tipo matematico e la seconda di tipo antropomorfo.
L'architetto franco-svizzero arrivò a sintetizzare le varie casistiche antropometriche umane con la
definizione di un «uomo medio»: ipotizzando un esemplare umano dalle misure standard - alto 1,83 metri
(sei piedi), dal plesso solare pari a 1,13 metri e in grado di raggiungere i 2,26 m alzando le braccia -
l'architetto sviluppò due serie, una ottenuta partendo da un quadrato di lato 113 (27, 43,70, 113, 183 ...),
la cosiddetta «serie rossa», e l'altra partendo da un rettangolo di dimensioni 113x226 (53, 86, 140, 226,
366, .....), la «serie blu». Le proporzioni così determinate potevano essere utilizzate per conferire
regolarità matematica ed estetica ad un manufatto architettonico, nella convinzione che «fare architettura, è
fare una creatura»
LE POEME DE L’ANGLE DROIT:
È uno straordinario ed esemplare poema scritto a mano in un intreccio di parole, collage, oggetti,
disegni e macchie di colore in formato extralarge, 32 per 42 centimetri, in cui versi (scritti a mano in
corsivo) e immagini (disegni inseriti tra le righe del testo e 19 litografie a colori) si mescolano in una
sintesi di forme e di parole che è ricapitolazione del suo pensiero intorno alla creazione artistica e
architettonica ma non solo. L’angolo retto è anche definizione di senso dell’umano, linea verticale
sull’orizzontalità della terra.
Composto in otto anni, pubblicato in edizione limitata di sole 250 copie dalle Editions Verve, promosse
da Tériade, editore di Léger, Matisse e Picasso, il poema è stato pubblicato per la prima volta in Italia
nel 2007, da Electa con la traduzione italiana di Debora Antonini, storica dell’architettura.
***
* dal libro di Donato Di Poce di prossima pubblicazione :
”ARTCHITETTURA: Guardare e vedere L’Architettura contemporanea con gli occhi di un poeta