Ne hanno parlato: leccecronaca.it
ICONE POP
per Mauro Rea
La materia non muore mai
La vita non muore mai
Subisce solo continui scambi di senso
Intervalli di vitalità
E allarga ogni volta
I nostri orizzonti
Dilata ogni volta i confini
Non siamo altro che materia
Provvisorie soluzioni
Temporanee verità.
La vita non è altro
Che la danza della bellezza
Sopra un abisso.
" L’Arte è poesia liberata
dalla necessità delle parole"
Donato Di Poce
Casa Editrice: i Quaderni del Bardo
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"Il furore CreAttivo e sperimentale di Mauro Rea, non smette di stupire e di regalarci nuove sorprese e rivelAzioni, e questa raccolta di piccoli capolavori (perlopiù polimaterici su legno di circa 20x 40), vere e proprie “Icone POP” finalmente in mostra, ne sono la testimonianza. In realtà si tratta di sedimentazioni e accumulazioni carsiche che nel tempo Rea ha sapientemente elaborato e accumulato come un alfabeto iconico raccolto dalla strada(lattine di Coca Cola schiacciate e sapientemente e Duchampianamente decontestualizzate), per diventare matrice e logos di una rinascita materica ed estetica. Chiariamo subito che l’utilizzo del banale quotidiano che opera Rea non è da ricondurre alla serialità filosofica e concettuale dei Brillo Box di Warhol, semmai allo stordimento esistenziale di Baquiat e alle contaminazioni ludiche di Haring.
E qui si evidenzia con forza e leggerezza, turbamento e grazia poetica, questo precoce maestro neo-futurista, neodada, neo-pop e patafisico che è Mauro Rea, con tutta la forza eversiva e sovversiva, lavica e incantatoria di un outsider che sceglie di rimanere libero e non inglobato dal sistema dell’Arte, come un ragazzo pasoliniano che ha attraversato tutti gli alfabeti dell’avanguardia, ma che rimane incantato dalla forza lavica della materia di Burri(plastiche bruciate), Mastroianni(cartoni polimaterici), Raushenberg(Assemblage oggettuale), Spoerri(etnosincretismi), Baj(eresia ludica e patafisica dei generali). Ma l’originalità di Rea, che ne fa anche la sua unicità e grandezza nel panorama artistico
contemporaneo è la sua capacità di contaminare la materia con le sue visioni interiori, con il suo vissuto esistenziale e la sua tecnica artigianale sapientemente appresa da ragazzo dai maestri carnevaleschi ciociari. Infatti Rea ha travasato le suggestioni dei suoi idoli ed eroi di cartapesta, nelle attuali icone pop, che trasudano redenzione ed estasi, implosioni oniriche e colate emozionali, di grande valenza emotiva, votiva diremmo anzi Pasolinianamente “la religione della materia” e “la scarnificazione dello spirito”."
Dal testo in catalogo della mostra Icone Pop, Milano, Galleria della Libreria Popolare di via Tadino, 2014 a cura di Donato Di Poce
"Un discorso e un’attenzione particolare merita la sua recente installazione : LA STANZA DI VANGOGH. Artista solitario ed eroico, e spesso incompreso dai suoi contemporanei, Rea non poteva non identificarsi con Van Gogh, e rendergli omaggio misurandosi con uno dei suoi capolavori come appunto LA STANZA DI VAN GOGH AD ARLES del 1988, che ispirerà artisti del 900 come Matisse(Studio Rosso e Studio Rosa, 1911) e Duchamp( Apolinère enameled, 1916-1917).
Ricordiamo che di questo quadro, particolarmente amato dall’artista, Vincent ne fece tre copie quasi identiche, una conservata al museo di Amsterdam, una a Chicago e l’altra a Parigi e 2 disegni, riportati uno nella lettera al fratello Teo e l’altro a Gauguin.
Nel quadro si avverte la PRESENZA/ASSENZA dell’artista, il sovvertimento della prospettiva classica,(si notano ben 3 linee prospettiche), la scoperta del colore e della semplicità, ma soprattutto la CALMA e la SERENITA’ attesa e auspicata dalla COMUNITA’ DI ARTISTI sognata da Van Gogh. Traspare l’intimità di Vincente, IL LETTO, due SEDIE, alcuni suoi quadri (5) appesi alle pareti, la FINESTRA socchiusa e una tragica, latente invisibile ma presente SOLITUDINE.
E dalla sua oasi di solitudine e creatività, Vincent implora attenzione, chiede di essere visitato, esplorato interiormente, vuole che qualcuno entri nella sua cameretta e lo curi, gli parli e gli faccia compagnia(il punto di fuga prospettico è sulla sedia piccola vicino al letto, luogo d’incontro, una sedia che attende qualcuno, l’amico Gauguin che voleva impressionare, la finestra socchiusa non apre orizzonti e vista sul paesaggio esterno, ma lascia entrare aria fresca, dipinge un interno calmo e solidale, intimo e caldo). Infatti predomina il giallo e il rosso del pavimento, le pareti sono azzurre come il cielo. La sua stanza è un nido, un rifugio dal mondo esterno spesso ostile aspro e selvaggio.”
Dal libro: La Stanza di Arles, CFR Edizioni, testo critico di Donato Di Poce
“Parlare dell’arte di Mauro Rea, ( Membro Nembulico dei Profeti Solitari), significa rifare i conti e puntare il dito contro certa critica d’arte contemporanea (in troppi casi distratta, mediocre, modaiola e pifferaia dei mercanti), e allo stesso modo tra gli artisti, ridimensionare tutti quei facili replicanti delle avanguardie che hanno smesso(anzi direi non hanno mai iniziato) di sperimentare, cercare qualcosa di nuovo e di vero, scambiando il kitsch con la novità e la provocazione per originalità e ripensare l’intero sistema promozionale ed espositivo dell’arte contemporanea privata (ostaggio del mercato) e pubblica (ostaggio dei politici e della burocrazia).”
Dal testo critico del catalogo: MAURO REA: LE MATRICI CREATIVE E LE FORME DELL’INCOMPIUTO di Donato Di Poce
Il poeta vede l'invisibile il fotografo fornisce le prove
Milano
Italia
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